Le sue origini risalgono fino al tempo dei Romani, era addestrato al combattimento per il quale aveva una grande predisposizione, o utilizzato in battaglia contro i nemici , ma la mansione a lui più adatta era la difesa del territorio.
Il nome Corso non ha niente a che vedere con la Corsica, è una semplice similitudine lessicale, il termine Corso deriva da: cohora, chors, cors ovvero cane che fa da guardia al cortile o guardia del corpo; oppure con il termine celtico coarse, si fa riferimento a robusto.Ritroviamo notizie anche attraverso la nostra letteratura tramite letterati importanti come Erasmo di Valvassone, Giovanni Scandino, e persino Giovanni Verga il quale ne decanta la potenza del suo morso; ne riscontriamo la presenza anche nell’arte con l’incisore B.Pinelli il quale ritrae molto spesso scene in cui combattono tra loro o contro un toro. Andando avanti di svariati decenni (40-50) il C.C. lo riscopriamo nelle masserie della Puglia dove ha il compito di guardiano, utilizzato nella caccia al cinghiale e specializzato nella caccia al tasso il quale doveva avere un mantello color frumentino per distinguersi dalla preda, ma la caccia più pericolosa era quella all’istrice perché il cane era addestrato ad entrare nella tana di questi grossi roditori; ne uscivano vittoriosi ma molto spesso feriti ed accecati dagli aculei micidiali.
Si tratta di una razza molto diffusa, fino agli anni 1950 e in epoche più remote nel resto d’Italia. Morfologicamente appartiene al gruppo molossoide e dal punto di vista funzionale ai cani da presa; per tipologia è molto probabilmente collegato filogeneticamente a quei cani grandi e combattivi di cui vi è testimonianza sin dall’antichità (v. bassorilievi assiri 669-633 a.C.).
Nella storia recente, il cane è stato utilizzato per la difesa personale e per il controllo del bestiame grosso. Una mole forte, notevole coraggio ed agilità felina consentono al Cane Corso di ammansire bestiame bovino e suino in quelle particolari circostanze che l’uomo da solo non è in grado di affrontare, come nel caso di un animale imbizzarito o una madre che difende la propria prole.
A partire degli anni 1960, con il progressivo abbandono delle campagne, la riforma agraria e il conseguente venir meno degli stili di vita tradizionali, anche l’allevamento di questi cani subì un forte declino. Negli anni ’70 cominciò un’opera di recupero di questo cane e ben presto suscitò l’interesse di parecchi cinofili, attratti dal fascino della razza nel suo aspetto fisico e nella sua indole.
Nel dicembre dello stesso anno, sempre su “I Nostri Cani”, esce un articolo firmato da Paolo Breber che descrive i soggetti incontrati in Puglia, grazie anche alla segnalazione avuta in una lettera del Prof. Bonatti, datata 2 Dicembre 1973. In questa lettera si descriveva un cane molossoide a pelo corto, differente dal mastino napoletano, aggiungendo come anche il Prof. Ballotta, famoso allevatore di schnauzer, ne avesse visti parecchi nelle campagne della Puglia.
A queste quattro femmine si aggiungeva il maschio a nome Tappo , sempre figlio di Brina. Leggermente prognato, distinto, con muscoli di tutto rispetto, di colore fulvo chiaro, che venne regalato da Breber ad amici nel foggiano. A completare la rosa dei sei soggetti presi in considerazione va aggiunto Picciut, il maschio tigrato padre di Alma, Cocab, Tipsi e Tappo. Proprietario Armando Gentile, rispetto al figlio presentava una testa ancora più tipica, con un muso che, come quello della figlia Tipsi, era lungo poco più di un terzo della testa. In comune tutti questi cani avevano assi cranio facciali leggermente convergenti.