Il Comune di Rivoli ha deciso: niente proroghe, niente alternative. L’uomo che ha perso tutto e ha ricominciato grazie al suo cane sarà sfrattato. Un’altra storia di solitudine e indifferenza.
Il conto alla rovescia è iniziato.
Il 13 aprile 2025, un uomo e un cane verranno buttati fuori. Sì, buttati fuori. Non c’è altro modo per dirlo.
Renato Lecca ha ricevuto la comunicazione definitiva. Niente proroghe, nessuna pietà, zero alternative. “La data del rilascio sarà il 13 aprile. Senza ulteriori proroghe. Non avendo altre soluzioni abitative, mi ritroverò in mezzo a una strada.” Le sue parole, inviate con la calma disarmante di chi ormai ha finito le lacrime, sono un pugno nello stomaco. E una vergogna per tutti noi.
Renato ha 45 anni. Aveva una casa, un lavoro, una piccola impresa. Faceva marketing e comunicazione, collaborava anche con il gruppo L’Oréal. Viveva tra Torino e Milano. Aveva dipendenti, progetti, speranze. Poi la crisi, la pandemia, la solitudine. Il crollo.
E quando un uomo cade, spesso nessuno tende la mano. Ma un cane può farlo. Un cucciolo, cinque mesi, gli occhi neri e lucidi. Si chiama Nerone. È un cane corso, massiccio e affettuoso. È arrivato nella vita di Renato come uno stallo temporaneo. È diventato tutto.
Nerone ha salvato Renato dalla depressione, dai pensieri oscuri, dal baratro. Gli ha dato un motivo per alzarsi, per respirare, per provarci ancora. Da lì, da quella scintilla di amore reciproco, Renato ha ricominciato. Ha iniziato a lavorare come dog sitter. Ha messo insieme qualche euro, ha cercato una stabilità. Non chiedeva miracoli, solo un po’ di spazio per vivere dignitosamente con il suo cane.
Ma la realtà, quella vera, è più feroce di ogni fiction.
La casa in cui abitava aveva un contratto mai registrato. Quando ha provato a regolarizzare tutto, il proprietario lo ha minacciato. Lo ha aggredito. Ci sono denunce, ci sarà un processo. Intanto, lui è finito fuori. Senza casa. Senza protezione.
Disperato, a dicembre, ha fatto quello che chiunque al suo posto avrebbe fatto: a Rivoli ha occupato un alloggio comunale vuoto, rimasto disabitato dopo la morte di un amico. Aveva le chiavi. Non ha forzato serrature. Non ha tolto nulla a nessuno. Ha solo cercato un tetto. Un rifugio.
Non si è mai sentito un abusivo, perché non lo è. Ha sempre detto: “Non voglio rubare niente a nessuno. Voglio solo vivere con dignità, lavorare, e non abbandonare il mio cane.” Ma da quel momento il Comune di Rivoli lo ha trattato come un problema da eliminare. Nessun ascolto, nessuna comprensione. Solo freddezza e carta bollata.
Il 16 gennaio si è tenuto l’unico incontro con i servizi sociali e la polizia municipale di Rivoli. Gli è stato comunicato che avrebbe dovuto lasciare l’alloggio entro il 20 febbraio. Lui ha chiesto una proroga. Ha implorato una soluzione alternativa. Ha proposto idee, cercato contatti. Ha chiesto persino di essere accolto come ospite da un altro inquilinodel medesimo complesso comunale, in via al Castello.
La richiesta è ancora in sospeso. “Attendiamo una sua risposta nelle prossime settimane”, scrive Renato, sperando ancora. Ma le settimane sono diventate giorni. E i giorni, adesso, sono solo dieci.
Le soluzioni proposte dai servizi? Dormitori. Ostelli. Ma senza Nerone. Per entrare deve abbandonare il cane. Come si fa? Come si fa a lasciar fuori l’unico essere che ti ha fatto sopravvivere quando tutto era crollato?
Lo Stato ti dice: scegli. O un tetto, o l’amore.
E Renato ha scelto. Ha scelto Nerone. E così, perderà tutto. Di nuovo.
In questa storia, che pare scritta da un drammaturgo crudele, c’è tutto il fallimento di un sistema. Le istituzioni che non vedono. I servizi sociali che non rispondono. Gli assistenti che spariscono. Gli uffici che si chiudono dietro il mantra dell’“abbiamo fatto tutto il possibile”. Ma il possibile non è mai stato nemmeno tentato.
Renato non è un caso raro. È uno specchio. Riflette cosa succede a chi perde il lavoro, a chi cade, a chi non ha reti familiari, a chi finisce fuori dal giro. Riflette un’Italia che non prevede l’eccezione, non contempla la fragilità, non conosce l’empatia. Una burocrazia che si lava la coscienza con una relazione e poi chiude la porta.
Eppure lui ha resistito. Ha lavorato. Si è reinventato. Non chiede carità. Chiede solo uno spazio in cui vivere, un contratto, un aiuto concreto per non finire sotto un ponte. Chiede di restare con il suo cane. Niente di più. Niente di meno.
Ma il tempo è scaduto. Il 13 aprile, l’ufficiale giudiziario busserà alla porta. Renato e Nerone usciranno. Con uno zaino, due ciotole, qualche coperta. E forse un materassino. Il resto lo lasceranno lì. E cominceranno a cercare un marciapiede, un sottopasso, un posto qualunque.
Sarà primavera, sì. Ma sarà anche l’ennesima stagione in cui l’Italia civile volta la faccia.
fonte: giornalelavoce.it