Tratto dal 1° Convegno Nazionale
CIVITELLA ALFEDENA – 16/17 Giugno 1990
Giuseppe Di Girolamo e Germano Castellano, Cacciatori.
In questi ultimi decenni il cinghiale si è talmente diffuso nell’alta Val di Sangro e dintorni che molte squadre di cacciatori si dedicano intensamente a questa selvaggina. E una caccia che non si può improvvisare ma richiede cani adatti, conoscenza dei luoghi e conoscenza della selvaggina Oltreché allenamento fisico.
Il metodo di caccia preferito è di prendere l’animale con l’aiuto di grossi cani aggressivi appena lo si scova, senza perdersi in lunghi inseguimenti o battute. Una serie di fucili sapientemente appostati a distanza ha il compito di recuperare quei capi che sfuggono a questo primo contatto.
Per il giorno prescelto si sceglie una montagna che si sa essere frequentata dalla selvaggina. Sopralluoghi nei giorni precedenti e la nostra esperienza ci dicono in quali punti sta con ogni probabilità rimessa. Una squadra è formata da tre a otto e da quattro a otto cani. Per prendere contatto con il selvatico due o tre fucili con i cani il cuore della montagna, a mezza costa. Il cinghiale fugge o dalla parte alta o dalla parte bassa, e li stanno pronti gli altri ad attenderli in perfetto silenzio. E molto importante tenere sempre conto della direzione del vento in quanto l’animale selvatico ha un fiuto finissimo.
Nella muta ci deve essere un cane con più sangue, spinone o segugio che deve portare la passata. Serve, a trovare la traccia fresca del cinghiale che al finire della notte torna alla sua cofa, ovvero al rifugio. Gli altri cani sono di altro tipo, grandi, agili ed aggressivi per incalzare ed assalire la fiera. Quando la muta ha localizzato dove il cinghiale sta rintanando, in genere una macchia di cespugli bassi, si mette ad abbaiare ed è il momento di prepararsi a tirare. Il cinghiale o carica e si spara, o fugge ed allora spetta agli altri fucili intercettarlo. I percorsi che prenderà l’animale sono abbastanza prevedibili dall’esperto cacciatore. Il compito dei cani è di costringere il cinghiale ad uscire dalla cofa e circondarlo in un punto scoperto. I giovani cani sono più ardimentosi, mentre l’esperienza fa più cauti gli anziani.
L’animale frastornato si mette in difesa e non pensa al cacciatore che cosi può mirare e colpire con calma.
I cani migliori per assalire il cinghiale sono i Corsi, ma si trovano con difficoltà. Ora abbiamo un amico che ce li procura dalle Puglia. Molto usati sono i mastini abruzzesi che prendiamo dai pecorai. Tuttavia, in genere, qualunque cane grosso e ben costruito viene accettato da queste mute se promette bene. Per saggiare la predisposizione di un soggetto lo portiamo al cospetto di un cinghiale: se s’intimorisce viene subito scartato, ma se si riscalda viene senz’altro arruolato.
Parecchi cani vengono uccisi in questa caccia, specialmente i giovani inesperti. Il cane, un po’ preso dalla foga, un po’ dal desiderio di difendere il padrone, a volte lascia la prudenza e finisce sotto le zanne del porco selvatico. A titolo d’esempio, uno di noi in 33 anni di attività venatoria ha perso 40-50 soggetti.
Quando si ha una muta di cani da presa di comprovata qualità si usa abbattere il cinghiale all’arma bianca. È una grande prova sportiva che richiede destrezza e sangue freddo. I cani prima devono avere immobilizzato l’animale; lo afferrano ai prosciutti e al codino. Preso di fronte il cinghiale è molto e specialmente le femmine danno dei morsi terribili. La lama va infilata tra la spalla e la base del collo.
Se in una zona non si trovano cinghiali si passa alla montagna dopo. Una cacciata va dall’alba al tramonto.
Giuseppe Di Girolamo e Germano Castellano, Cacciatori.
Copyright Editrice L’ Orsa S.R.L. 1990