Che tipo di esperienze hai fatto in campo cinofilo prima di arrivare ad essere il Luigi Di Leo di oggi?
All’inizio era un hobby, un semplice interesse per i cani che avevo da sempre e che poi si è acuito, a partire dall’84 al 90 quando ho fatto dei tentativi di fare cose tipo andare a cercare i cani corso o iniziare a fare le prime lezioni “cane-padrone”, come le chiamavamo allora, a domicilio. Era un fatto hobbistico. Grazie ad un interesse comune con degli amici, iniziammo a muovere qualche passo in quella direzione, ci piaceva innanzitutto chiacchierare tanto di cani. In quel periodo si parlava sempre di Lorenz perché quello era il riferimento di chi, non avendo approfondito, faceva riferimento a lui dal punto di vista del comportamento.
Poi pian piano sono maturate alcune cose per cui si è deciso alla fine di farne anche un’attività lavorativa. Quando ero bambino, quelli della mia generazione dicevano “voglio fare il veterinario” per stare a contatto con gli animali, adesso i bambini sanno che c’è anche l’educatore, l’addestratore o altre cose di questo genere. Una mia zia mi racconta sempre che qualsiasi parente avesse un cane mi doveva tollerare a casa sua, dicevo che volevo fare il veterinario perché volevo capire gli animali.” Il cane e il gatto non si possono esprimere a parole e quindi bisogna capire cosa hanno”.In effetti il tentativo di fare veterinaria, anche se in età avanzata, c’è stato anche se la parte della cura della malattia non è che mi interessasse tantissimo. Ho frequentato solo un anno.
Dicevi che l’hobby iniziale si è trasformato in attività lavorativa, che tipo di attività lavorativa?
C’è stato un tentativo una volta di prendere in affitto una pensione poi però non è mai partito, poi per esigenze diverse lavorative io e un amico di allora ci trovammo di fronte a una proprietà( dove attualmente ho casa e centro cinofilo)e decidemmo di avventurarci in questa impresa facendo la pensione e il campo di addestramento anche se facevamo ancora del lavoro a domicilio. E poi abbiamo iniziato anche l’allevamento del cane corso, che era una cosa che portavamo avanti da qualche anno cercando degli esemplari anche se allora non c’era in mente di allevare, avevamo solo un paio di cani.
Raccontaci bene questa cosa dell’allevamento del cane corso, com’è nata l’idea?
E’ nata con questo mio amico, con cui parlavo sempre di cani, quando un altro studente portò in università la fotografia di questi cani. Io all’epoca non ero iscritto all’università, mi sono iscritto molti anni dopo, all’epoca frequentava solo questo mio amico, quando è arrivato quest’altro ragazzo con le foto di questi cani e così iniziammo ad andare per campagne quasi tutti i weekend a cercare questo tipo di cani.
Non ho capito bene, puoi spiegare meglio?
C’era questo studente di Campobasso che venne all’università di Bari chiedendo informazioni su questo tipo di cani, chiedeva agli altri studenti se ne avessero visti. E noi abbiamo iniziato a cercarli per le campagne del barese e parte del foggiano.
Com’era allora la situazione del cane corso? Perchè li cercavate per campagne?
Eravamo probabilmente nell’86-87 forse anche prima e a Mantova c’erano già state le prime riunioni di un gruppo di persone che stava cercando di ricostruire la storia di questa razza, chiedendo anche a qualche giudice i riferimenti, facendo riferimento anche a testimonianze storiche del passato in cui si parlava di questo cane che sostanzialmente è un cugino del mastino napoletano.
Quindi in quel momento in Italia non esistevano allevamenti del cane corso?
No, c’era qualcuno che stava provando a recuperare esemplari per avviare l’allevamento. Era stato redatto uno schema, non ricordo più tutti i passaggi, ma credo che non siano neppure così importanti.
Si andò in giro per le campagne a cercare alcuni cani e si iniziarono a fare alcune riunioni tecniche in cui si portavano i cani che si erano ritrovati, prima le fotografie e poi gli esemplari con il rilevamento dei “dati cinometrici” e si vedeva la popolazione residente in quest’area, che era essenzialmente il nord barese, la provincia di Foggia e qualche altra area verso l’irpinia e poco altro. Poi adesso si dice che i cani stavano in Basilicata, in Calabria, in Sicilia, in Lombardia ma il nucleo da cui si è attinto è essenzialmente il nord barese e il foggiano.
Si iniziò a fare un disegno di standard e furono scelte alcune caratteristiche per lo standard e non altre, che pure erano presenti in alcuni cani, perché lo avrebbero fatto allineare molto al mastino napoletano. Si parlava di caratteristiche somatiche, per cui se il mastino napoletano aveva un certo tipo di dentatura, il cane corso doveva averlo un po’ diverso. Gli assi delle canne nasali dovevano essere convergenti anziché paralleli, insomma dovevano esserci caratteristiche che erano presenti in questi cani e che potevano essere scelte in una direzione o in un’altra.
Da questo nacquero una serie di polemiche infinite, ad esempio c’era chi era contrario al prognatismo perché lo riteneva meno funzionale, perché è un carattere che non tieni sotto controllo, il muso può essere prognato appena appena oppure essere 2 cm dove chiaramente viene persa ogni forma di funzionalità che comporta anche il raccorciamento delle canne nasali, insomma una serie di cose.
Io e il mio socio di allora scegliemmo di non fare polemiche, la scelta che facemmo, anche se alla fine avevamo dei cani diversi, fu quella di seguire questa prima bozza di standard. Quando iniziammo a fare le prime riproduzioni c’erano grosse differenze, non c’era una grande omogeneità, anche perché i cani che trovavamo nelle campagne erano molto variabili e soprattutto i primi accoppiamenti erano potenzialmente un terno al lotto. Facemmo questa scelta: se c’è lo standard, invece di fare tante polemiche, seguiamo lo standard perché comunque è una traccia da seguire e vediamo qual è lo scostamento che troviamo nella popolazione, facciamoli riprodurre e vediamo cosa accade andando in quella direzione. Quindi un lavoro che tendeva a escludere la polemica e a darci dentro, e questo ha prodotto qualche risultato.
Quindi siete andati in giro per le campagne, cosa significa? Da chi andavate?
A volte avevamo qualche informazione, l’amico che aveva visto il tale cane, c’erano solo indizi, soprannomi, aree. Se ci hanno detto che tizio ha un cane tipo così, andiamo a vedere. Poi a volte c’erano alcuni trafficanti e tanti loschi figuri, da quelli che facevano i combattimenti a quelli che erano contigui a questo mondo e tutta una serie di figure grigie per cui entravamo in contatto con queste persone sperando di trovare il cane adatto. Erano i tempi in cui i pitbull ancora non erano arrivati pienamente in Italia e il combattimento tra cani era una cosa tradizionale in certi contesti, anticamente le persone si incontravano con i cani che lavoravano con le vacche e si sfidavano. Tradizionalmente anche questo aspetto in qualche forma era presente.
Incontrammo anche persone che provavano a “fare” i cani corso mescolando anche l’alano con il mastino, con il rottweiler, ho alcune fotografie di cani assolutamente ridicoli (paragonati a quello che si desiderava). Questo era il momento storico ma questa cinofilia esiste forse ancora oggi, persone che semplicemente pensano di sapere come “fare” il cane e provano a mettere insieme varie razze e incroci di razze, non solo soggetti con le stesse caratteristiche ma anche soggetti che non sono della stessa razza con l’idea di tirare fuori delle caratteristiche utili in qualche senso. Per cui noi avevamo qualche informazione; Ricordo alcuni episodi particolari, a volte delle immagini che sembravano estratte da altre epoche tipo quella di una scuola elementare dove il bidello era proprietario di due mastini che teneva alla catena fuori dalla scuola, poi c’erano le vaccherie, cioè piccole stalle a volte in paese che avevano il cane corso oppure andavi in campagna e c’erano quelli che avevano le vacche. Mi ricordo che una volta uno ci rispose alla domanda se avesse dei cuccioli “vuoi il cucciolo? Eccolo sta là, se riesci prenditelo!”, c’era la madre vicino ai cuccioli sotto un trattore e non sembrava per niente d’accordo sulla cosa. Andavamo in giro incontrando questi personaggi e cercando di capire, moltissimi cani erano molto simili a mastini napoletani altri erano incroci molto evidenti e qualcuno invece era un cane corso portato avanti per tradizione familiare o donato da un amico sostanzialmente in purezza. La razza non è un concetto che appartiene normalmente alla zootecnia rurale. E’ il tipo che interessa, cioè cani che hanno quelle caratteristiche fisiche ma soprattutto che siano adatti per fare alcune cose.
Voi andavate cercando un certo tipo somatico ma sostanzialmente i cani che trovavate stavano lì per fare un lavoro?
In molti casi sì in altri casi no. Mentre in un primissimo tempo la storia era così,cioè i cani stavano in campagna per svolgere il loro compito di aiuto , da lì a un anno e mezzo due iniziò comunque un business basato sulla vendita dei cani. C’erano anche persone che erano autentici appassionati sia tra quelli che compravano sia tra quelli che vendevano cani e c’erano quelli che basavano tutto su un fatto più speculativo.
Per cui accadeva che alcuni, avendo visto che scendeva qualcuno dal nord a comprare le cucciolate facessero riprodurre cani che più o meno potevano essere interessanti, oppure cercavano di procurarsi cani adulti e cuccioli per rivenderli alle persone interessate che cercavano questi cani. Arrivando dal nord Italia, chi aveva a disposizione magari meno tempo ma più capitali scendeva e comprava o soggetti adulti – prendendo a volte un colpo di fortuna, a volte dei gran bidoni – o delle cucciolate fidandosi di quanto gli era stato detto circa i genitori. Per cui alcuni ci marciavano, nel senso che avevano visto che conveniva metter dentro dei cani e far da mediazione tra l’acquirente e chi aveva i cani.
Tanto per capire l’ordine di grandezza di questo movimento, quante persone si occupavano di questi primi allevamenti?
Prima del ’90 – fra l’87 e il ’90 – saranno state tra le 10 e le 15 persone che si stavano interessando anche in aree diverse da quelle tradizionali, questo era il numero. Se mi devo rifare anche alle prime riunioni ufficiali del cane corso a cui abbiamo iniziato a partecipare, quello era grosso modo il numero. Poi c’erano 2 o 3 appassionati intorno al ’91-’92 in Sicilia, decisamente qualcuno di più in Puglia, qualcuno in Toscana, e in Lombardia ce n’erano 3-4 probabilmente.
Voi poi come siete andati avanti?
Noi abbiamo iniziato a cercare qualche femminuccia in più comprandola, trovandola,… abbiamo iniziato a farle riprodurre. Con varie forme – comprando, prendendo in affidamento – abbiamo messo in piedi un allevamento, cercando anche maschi esterni per vedere cosa succedeva. Noi in un solo anno, forse 92-93, tenemmo ben 6 femmine da crescere, fu un investimento importante soprattutto perché per noi non era uno sfizio come poteva esserlo da parte di chi aveva ingenti risorse economiche da mettere in campo.
Quindi siete partiti da quanti cani?
Siamo partiti da due cani con cui abbiamo fatto una prima cucciolata, poi ne abbiamo preso un secondo e un terzo nel giro di un anno circa.
Come sceglievate i vostri cani?
A sensazione. Incrociavamo un misto di intuizione ad una certa competenza tecnica presunta. Il mio socio era una persona molto abile nel disegno, secondo me questo ha una correlazione anche in una certa qual capacità a valutare simmetrie, parametri e cose di questo genere perché quando disegni tu nella tua testa hai maggior capacità di raffigurazione. Io non so disegnare ma sono molto istintuale, non ti so spiegare qual è il quid, allora meno di adesso, comunque essere in due era un vantaggio rispetto ad altri perché potevamo confrontare le nostre idee, a volte evidentemente si doveva anche mediare ma avevi la possibilità di esprimere la propria idea su come era quel cucciolo, su ipotesi di riproduzione tra vari soggetti, etc.
Avevate un obiettivo prefissato in termini di grandezza dell’allevamento, numero e tipo di individui?
Non avevamo una grande programmazione, a tratti tutto quello che un’impresa non deve essere, noi lo eravamo! Poca programmazione sul lungo periodo e apparentemente nessun raziocinio reale a volte. Due trentenni senza grandi responsabilità verso nessuno sostanzialmente ma con grande entusiasmo e voglia di riuscire nell’intento.
Per quanto tempo è andata avanti questa impresa? Quanto è diventato grande l’allevamento?
E’ difficile dire numeri precisi, per alcuni anni abbiamo avuto una media fra i 50 e i 60 cuccioli probabilmente. Calcolando che ogni volta che una femminuccia partoriva avevamo tra gli 8 e i 10 cuccioli.
Questi cuccioli, tanti ogni anno, dove andavano?
Alcuni venivano affidati a qualcuno che speravamo fosse di fiducia, con la speranza che poi un giorno ce lo facesse rivedere, portare alle esposizioni e magari anche far riprodurre secondo un consiglio dato.
Erano solo cani che andavano alle esposizioni o erano anche cani da lavoro?
Il lavoro in quella fase non esisteva, noi facevamo dei test caratteriali, avevamo dei parametri. Quello che ci differenziava dagli altri era che noi, occupandoci un pochino di addestramento, rispetto ad altri che con questa cosa non avevano nulla a che fare, avevamo il vantaggio che qualche parametro in più per scorgere in un adulto qualche caratteristica ce lo avevamo. Mentre per altre persone a volte una scarsezza di socializzazione, una mordacità fuori luogo era scambiata per “carattere”. Questo dal punto di vista dell’equilibrio del cane faceva la differenza, cioè era normale che i cani all’inizio fossero portati alle esposizioni a catena e “se magnassero qualcuno”.
Voi tenevate conto di queste caratteristiche comportamentali quando sceglievate i cani?
Sì, per noi era piuttosto importante questa cosa anche se un paio di volte devo confessare che sono stato attratto dal bello più che da altro e c’è stata anche la volta che abbiamo scelto un cane perché era particolarmente bello anche se il fratello era più cazzuto. Una volta c’era un cane che era un bel cane, un po’ piccolo di taglia – perché per queste razze si tende sempre a portare il cane verso la taglia massima perché più imponente, anzi ci si fa vanto, sbagliando, dell’essere fuori taglia, cosa che evidentemente per un concetto zootecnico non va bene – in quel caso ho scelto un cane molto molto bello ma con un brutto carattere. Essenzialmente un cane schivo, che in realtà non hai mai causato nessuna difficoltà particolare, però il modo di porsi in un contesto pubblico non era quello che ci si aspetta da un cane corso. Inoltre vivere in campagna lontano da un contesto urbano non ha migliorato la situazione.
Quindi sostanzialmente facevate cani da esposizione?
C’è stato un periodo in cui noi non potevamo accedere alle esposizioni perché il cane corso ancora non era un cane di razza e quindi ci si poteva confrontare all’interno di riunioni tecniche tra appassionati in cui di volta in volta si invitava qualche giudice magari tra quelli che giudicavano razze affini o che si erano dati da fare nella fase di redazione dello standard. Purtroppo incappammo anche in persone che erano in fortissima concorrenza tra di loro e quindi c’era chi, pur invitato, remava contro nelle sedi ufficiali.
Quando ho iniziato io c’era solo uno standard provvisorio, era stata fatta qualche riunione tecnica con un disegno che stava evolvendo, credo che non fosse ancora stato presentato all’Enci, c’era questa traccia. Non ricordo le tempistiche dettagliate, è passato qualche anno.
Quindi all’inizio non potevamo accedere alle esposizioni, a un certo punto ci concessero che potevano entrare in qualche esposizione a far vedere i cani e noi a volte facevamo centinaia di kilometri solo per questa cosa.
Poi c’è stato il primo campionato sociale credo che fosse il ’93 potevamo partecipare alle esposizioni ma non ci veniva attribuito il CAC (Certificato di Attitudine al Campionato Italiano).
Nel 94 ci fu il primo raduno ufficiale razze italiane a cui ci fecero partecipare ufficialmente, ricordo bene l’anno perché è quando mi sono sposato, e furono individuate una serie di esposizioni specifiche con una certa distribuzione geografica – erano 12 o 13 non ricordo il numero preciso – in cui praticamente venivano assegnati dei punti in base ai risultati. Primo, secondo e terzo di ogni categoria facevano dei punti e alla fine dell’anno sarebbero stati proclamati i campioni di ogni categoria in base ai punteggi riportati. Vincemmo: il primo maschi; primo, secondo e terzo dei giovani maschi; secondo e terzo delle giovani femmine;seconda e terza femmina libera; riuscimmo in quel periodo anche a conseguire la prima giovane promessa enci, che è un titolo riservato ai cani che partecipano in classe giovani e che riportano la qualifica di primo eccellente in una serie di esposizioni che è una cosa più difficile del campionato italiano perché bisogna mettere insieme 30 punti prima che il cane compia 18 mesi o forse addirittura 15 mentre per il campionato italiano non hai sostanzialmente il limite di tempo , tra l’altro alcuni giudici erano restii ad assegnare la qualifica di eccellente in classe giovani.
Ho avuto un ruolo nella società specializzata di razza prima come revisore dei conti poi nel campo dell’addestramento tenni particolarmente all’ idea che questa razza dovesse avere caratteristiche da lavoro e che fosse importante procedere con uno screening dei riproduttori innanzitutto sulle malattie scheletriche, soprattutto la displasia dell’anca. Per un periodo purtroppo lungo, con l’idea che la “testa fa il tipo” si sceglievano i cani guardando essenzialmente la testa, anche se magari, qualcuno camminava malissimo, e venivano utilizzati in riproduzione. Per noi invece era importante che il cane non perdesse la sua funzionalità, e poi c’è anche un fatto di sofferenza. In realtà ci capitò che prendemmo un cane che dal punto di vista scheletrico era messo malissimo e dal quel momento abbiamo fatto una scelta diversa e iniziammo a fare più attenzione e a fare le lastre ai cani. Personalmente ho spinto molto su questa cosa.
Rispetto ad altre razze che sono soggette a molte malattie ereditarie e congenite il cane corso sembra quasi esente
No. Io parlo di un epoca passata, sono uscito da 10 anni e la situazione potrebbe essersi evoluta anche di tanto. Ci furono tentativi di fare uno screening sulle oculopatie e venne fuori che potenzialmente erano presenti in alcuni soggetti ma la situazione generale sembrava abbastanza buona , stessa cosa fu fatta sulle cardiopatie trasmissibili. Sostanzialmente la situazione della razza non era grave, era buona però c’era da fare attenzione ad alcune cose ma all’epoca su questo non fu dato alcun segno di attenzione per i riproduttori. Quindi c’era la possibilità che ci fossero oculopatie e cardiopatie congenite. Sicuramente era presente la displasia dell’anca e a tratti anche quella del gomito, anche in virtù del fatto che alcuni soggetti gravemente compromessi erano stati fatti riprodurre ripetutamente.
Quello che va messo in rapporto non è il numero dei casi trovati rispetto ai casi presentati ma il numero dei soggetti presentati rispetto alle nascite. Perchè se non hai quel parametro puoi dire “ho portato 10 cani e 9 erano a posto”, ma quanti ne sono nati? 1000? La percentuale va calcolata sui 1000 nati non sui 10 presentati. Se uno non fa uno screening preventivo e porta a screening ufficiale sono quelli che stanno bene i dati non rispecchiano la situazione reale.
Io e il mio socio cercavamo di guardare tutti, anche gli esemplari che non dovevamo portare in esposizione o far riprodurre, proprio per capire e per avere un orizzonte più ampio di soggetti testati. Abbiamo avuto anche cucciolate interamente esenti, purtroppo rare, con tutti i cani classificati con la A.
Per quanti anni è andata avanti questa attività di allevamento?
Le date precise non le ricordo, comunque dal ’91 ho iniziato, nel ’94 sono diventato allevatore professionista, in totale 11-12 anni ufficialmente più 3-4 anni in più in maniera amatoriale.
Com’è attualmente la situazione del cane corso in Italia?
Vedo pochissimo attraverso il giornale dell’enci, non frequento le esposizioni da ancora prima di smettere di allevare, non ne sento parlare. A me non sembra che ultimamente abbiano fatto un grandissimo lavoro, non tanto per i soggetti allevati, devo dire che vedo molti meno cani in giro di quanti non ne vedessi 10 anni fa.
Al parco vedo sostanzialmente due tipologie di cane corso per le caratteristiche somatiche: uno più muscoloso e boxereggiante e uno più somigliante al mastino
In realtà anche più di due, bisogna distinguere come per tutte le razze. Ad esempio quanti golden retriever vedi diversi tra loro? Solo che hanno un’uniformità di colore che già fa sembrare tutti i soggetti più simili tra loro. In realtà anche nel golden e nel labrador che sono cani molto diffusi vedi cani che hanno teste quasi molossoidi e altri che invece hanno un musetto molto più sottile. Per esempio quante taglie abbiamo nel labrador? Ce ne sono di alti 66-67 cm e poi abbiamo cani decisamente più piccoli.
Tornando al cane corso queste diverse tipologie rientrano tutte nello standard?
Se fosse uno standard inglese probabilmente non ci porremmo tanto il problema perché non è così descrittivo come gli standard italiani. In Italia gli standard sono molto cesellati nelle descrizioni mentre in altre nazioni gli standard sono più approssimativi. Sicuramente c’è un problema di tipo. Intanto bisognerebbe tracciare una riga tra i cani che effettivamente vengono dagli allevamenti e che nascono all’interno di posti dove sanno che esiste uno standard e vanno verso una certa direzione e tutti quei cani nati da accoppiamenti casuali. Se già in razze molto radicate che si allevano da molte più decine di anni vengono fuori cani diversi quando li si fa accoppiare senza fare attenzione figuriamoci una razza che rispetto allo standard ha una selezione più recente. E poi ci sono quelli che non riconoscono lo standard e fanno cani diversi perché sono convinti e anche loro li chiamano cani corso e poi ci sono quelli che vorrebbero stare nello standard ma non sono capaci di fare i cani secondo lo standard, ci sono quindi tantissime variabili.
Io non so come sia oggi la situazione, certo finché ci sono stato dentro c’erano convinzioni diverse su come dovesse essere il cane e poi c’è la tendenza a preferire soggetti più massicci perché i molossoidi piacciono grossi. Quindi per alcuni anche se un maschio è fuori standard piace e fa tanti cuccioli perché la gente li ammira per la mole.
Ma un cane così se va alle esposizioni viene considerato fuori standard?
Sicuramente. C’è stato poi anche un periodo in cui all’estero è arrivato un po’ di tutto e se vediamo i cataloghi negli Stati Uniti degli allevatori di un po’ di anni fa avevamo dei cani assolutamente improponibili rispetto allo standard.
Come mai hai interrotto questa attività?
Per una serie di difficoltà, moltissimi motivi hanno concorso. Intanto da un certo punto in poi non eravamo più in due in allevamento ma ero da solo e quindi mancava una parte del confronto che avrebbe portato una utilità. Nel tempo io mi stavo interessando molto di più alla parte relativa al comportamento, all’educazione, stavo cambiando modo di lavorare anche in quel contesto e quindi la mia attenzione si spostava di più su altre cose. Avevo voglia di crescere sotto quell’aspetto e quindi iniziai a viaggiare un po’ per guardare altri professionisti che facevano altre cose in questo campo. Per cui non riuscivo quasi più ad andare in esposizione, che io avevo sempre considerato un male necessario, nel senso che serviva andare per far vedere i cani però non è che fosse il top fare tante ore di macchina e tante ore di attesa per stare 5 minuti dentro un ring, lo considero una grossa sciocchezza, umanamente…oltre che per i cani. Per cui questo creava evidentemente dei problemi perché se vuoi collocare meglio i tuoi cani deve continuare a partecipare e non avevo la possibilità di tenere handler che portassero in giro i miei cani. Man mano che passava il tempo con me che frequentavo poco le esposizioni, l’area geografica delle richieste si restringeva, cioè le richieste anche da lontano non è che mancassero solo che quando hai una cucciolata di 8 o 10 cuccioli le richieste devono arrivarti entro un certo range di tempo perché quando ti ritrovi con cuccioli che arrivano a 5 mesi la situazione è disastrosa. Le richieste al tempo giusto non sempre erano sufficienti e rinunciando anche a dare i cuccioli quando non mi piaceva la situazione in cui sarebbero andati a vivere, più si restringeva l’area e più entravo in una concorrenza diversa: diminuivano le persone che si erano informate e venivano da te perché volevano un cane Del Murgese e aumentavano le persone che semplicemente volevano un cane corso, quindi con minore disponibilità di spesa, minore informazione preventiva, minore attenzione alle garanzie prestate, quindi il livello di concorrenza scendeva e chi mi faceva concorrenza si spostava su un piano molto diverso a quel punto. Quindi questo creava una difficoltà proprio di gestione delle cucciolate, di tempo di collocazione dei cuccioli,… Altra cosa che non contribuiva a farmi dar via i cuccioli per tempo era che non volevo fare il taglio delle orecchie.
Noi i cuccioli li davamo in media a 70 giorni, con parte del piano vaccinale già effettuato, quando è venuto fuori il microchip anche con il microchip, prima che fosse obbligatorio metterlo. Io ho fatto una piccola battaglia perché noi come allevatori con affisso dovevamo fare il tatuaggio e se volevo mettere il microchip all’inizio non lo potevo mettere.
C’era stato un primo periodo in cui facevamo regolarmente il taglio di coda e orecchie. Tendenzialmente avremmo preferito dare il cucciolo con le orecchie integre e in alcuni casi facevamo fare l’intervento poco prima dell’adozione, perché una volta tagliate le orecchie non potevano stare a giocare tra cuccioli.
Il taglio della coda ho continuato a farlo eseguire, il taglio delle orecchie cercavo di non farlo. La coda ho continuato a tagliarla per un motivo: perché non volevo rischiare che la tagliassero a 70-80 giorni, cosa che ho visto accadere, quindi preferivo farlo fare io al momento giusto anche se oramai ero diventato cosciente del fatto che la coda fosse un mezzo d’espressione importante. Il rapporto però tra i due rischi era a favore del taglio in un periodo in cui la coda la tagliavano tutti, non era vietato ma il rischio che lo facessero su un cucciolo di 3 mesi era alto e non volevo rischiare. Il taglio delle orecchie invece lo facevo fare io a chi me lo chiedeva anche per non rischiare che fosse fatto male anche perché un bel cane con delle orecchie mal tagliate poi non fa una bella figura, se proprio devono essere tagliate almeno che sia fatto con garbo, quindi preferivo farlo fare io. Queste due anime hanno cominciato a non poter convivere più. La parte zootecnica non poteva convivere con quella zooantropologica.