La serie di testimonianze che presento qui in ordine cronologico dimostrano che dal Medioevo sino ad oggi è sempre esistito da noi, senza soluzione di continuità culturale e genetica, un cane da presa dal nome Cane Corso. Sicuramente il cane da presa esisteva in Italia già da prima ma ho voluto limitarmi solo a quei documenti dove viene chiamato Cane Corso. Si tratta di un elemento culturale diffuso e comune nella società italiana fino ai primi dell’800, e lo si poteva trovare dal Friuli alla Sicilia.
Famosi in passato sono stati i cani da presa britannici tanto che in Germania, Francia e Spagna questo genere di cane viene ancora oggi chiamato rispettivamente Dogge, dogue e dogo dall’inglese “dog”, termine in origine limitato a solo questa categoria (bull dog, bandog) e non come attualmente usato per qualunque cane. È invece un fatto poco noto che l’Italia con il suo Cane Corso era l’altro polo di eccellenza del cane da presa in Europa. Il Gessner, infatti, trattando delle razze canine nella sua grande enciclopedia “Historia Animalium” uscita agli inizi del ‘600, cita l’Italia come luogo d’eccellenza in tal senso. Anzi è da ritenere che siano stati i nostri cani da presa a influenzare quelli inglesi; la prova sta nel termine “cur dog”. Nella parlata odierna è un termine con il quale si indica in modo dispregiativo qualunque brutto e antipatico cane; però in origine indicava il cane da presa. Un indizio, fra altri, si trova per esempio in una fonte del 1717 (Manwood) dove mastino e cur sono considerati sinonimi (v. mio articolo su questo sito).
Nei vecchi testi sulle razze canine, le caratteristiche del Cane Corso messe in risalto sono il coraggio cieco, la forza e la potenza delle mascelle; ma c’è un’altra caratteristiche che gli viene sempre attribuito: l’attaccamento al padrone, comportamento considerato discriminante rispetto ad altri cani, e che lo rende guardia del corpo per eccellenza.
Il valore del Cane Corso per chi lo alleva, o semplicemente detiene, va oltre l’apprezzamento personale delle sue straordinarie doti poiché si tratta di vero monumento culturale. Per fare un paragone, se posseggo in casa un quadro di Raffaello non posso moralmente farne ciò che voglio, pur essendone proprietario, perché in un certo senso non appartiene solo a me ma al patrimonio culturale della civiltà italiana.
Il più antico riferimento al Cane Corso ci viene indirettamente dall’araldica. Una notizia riportata nel Diario di Ludovico Monaldeschi, ripreso dal Muratori, e che copre il periodo 1327-1340, parla delle imprese compiute in Roma da un certo Berardo di Evangelista a favore dei Colonnesi durante le lotte tra le varie fazioni della città. A ricordo del coraggio mostrato da Berardo, la famiglia assunse con ovvio significato il cognome de Corso e le fu conferito un blasone mostrante un cane corso rampante che nel rudimentale schizzo antico qui riportato è ben riconoscibile nei tratti essenziali: orecchie e coda tagliati, muso corto, tronco pieno, largo collare.
Teofilo Folengo. 1517. Baldus. Tip. Paganini, Venezia.
L’opera maccheronica del Folengo non tratta di cani e caccia ma è prezioso per noi perché in un paio di passi del suo racconto paragona i combattimenti tra uomini con le battaglie tra cani corso e fiere. Qui sono tradotti dal Latino maccheronico:
Rigo 268. “Così fa l’orso armato di artigli quando è circondato da numerosi cani corso.”
Rigo 513. “Così come ruggisce il leone ferito dal cacciatore, e con unghie e denti fa a pezzi i corsi e molossi che lo assalgono, ….”
Belisario Acquaviva. 1519. De venatione et de aucupio;
de re militari et singulari certamine. Napoli.
Traduzione libera dal Latino. “Dell’aspetto e delle caratteristiche dei cani da presa.
C’è un terzo genere di cani che per la loro grossezza sono poco atti alla corsa e che in lingua volgare mastini vengono chiamati. Plinio dice che provengono dall’Albania mentre altri danno la Corsica come loro patria. Sono di animo aggressivo e capaci di affrontare qualunque fiera. Vanno apprezzati i seguenti punti: sguardo di fuoco; cervice e testa potenti; il labbro superiore che avanza su quello inferiore; occhi vivi; narici ben aperte; con fauci che sputano fuoco; denti acuti; il collo turgido e petto largo come nel leone; i piedi larghi con unghie dure in modo da far presa sul terreno mentre sopraffanno il selvatico. Con questo genere di cani il cacciatore potrà facilmente prendere ogni sorta di selvaggina.”
Nota: Quando Belisario Acquaviva, Duca di Nardò (1464-1528), scrive dei cani di Albania e di Corsica intende rispettivamente il Molosso e il Cane Corso. Questo perché la patria del primo era considerata l’attuale Albania, e il nome del secondo faceva intendere ad una provenienza dall’isola. Per una corretta etimologia dei nomi leggere quanto ho scritto in questo forum.
Erasmo da Valvasone. 1591. La Caccia. Versetto 78. (Ed. 1808, Soc. Tip. Classici Italiani, Milano)
“Il Corso ha gran possanza, ardito assale
La fera, e la ritien: poichè l’ha presa,
Sciorre il dente non sa; ma poco vale
Per raggiungerla poi, che in fuga è stesa:
Non ha dal ciel sortita al nome eguale
Prestezza il corpo suo, che troppo pesa:
E la virtù diffusa in sì gran seno
Mal lo riempie, e ne vien tosto meno.”
Nota: Il Valvasone era un nobiluomo nato e vissuto sempre nel suo feudo in Friuli.
Konrad Gessner. 1603. Historiae Animalium; De Quadrupedibus; De cane venatico robusto adversus magnas aut fortes feras. Francoforte, Bibliopolio Cambieriano. 2a edizione. p. 244
“Tali cani vengono dalla Corsica (Kursshund) in Italia, ma si trovano principalmente a Roma dove vengono usati contro cinghiali e bovini selvatici.”
Nota: Lo svizzero Gessner, trattando del cane da presa nella sua famosissima enciclopedia sulla fauna, riporta tale e quale l’Acquaviva (v. sopra) col quale era in corrispondenza, ma poi aggiunge il suddetto passo di altra fonte dove in parentesi mette la traslitterazione in tedesco del nome. Riporta lo stesso errore etimologico dell’Acquaviva sul nome corso.
Francesco Birago.1626. Trattatto Cinegetico. Bidelli, Milano.
“Varrone nel primo libro dell’Agricoltura, cap. 9, fa due sorti di cani, una da caccia, e l’altra da guardia, e veramente che sotto questi due generi tutte le sorti di cani vi si comprendono: perciocché sotto quei da caccia, e corsi, e alani, e mastini vi si contengono, come quelli che si adoprano contra lupi, cinghiali, cervi, e altri animali grossi, e crudeli; sotto quei da guardia vi si numerano tutti li cani che, non assuefatti alla caccia, custodiscano le case, e le mandrie, …” .
Nota: La muta di cani per la grossa selvaggina era composta da tipi/funzioni diversi: oltre il Corso, puro molossoide, c’era l’Alano, un incrocio corso x levriero, ed il Mastino che qui va inteso il cane pastorale come l’Abruzzese. Per una corretta etimologia dei nomi leggere quanto ho scritto in questo forum.
G. D’Alessandro. 1723. Opera di D. Giuseppe D’Alessandro, Duca di Peschiolanciano,
divisa in cinque libri etc. Muzio, Napoli.
“I Cignali anticamente in Regno si predavano con reti di fune à i riposti, poscia si pratticò ammazzarli col schiedo à Cavallo, e col scapolargli addosso i Corsi, quali per non esser offesi dal cignale, devonsi primieramente assuefare col porco, domestico, addestrandogli ad addentare il muso del porco, e l’orecchio, procurando però che stringendo l’orecchie, quasi si cusciano col porco, acciò la Zanda non abbia campo d’offendergli. Fin al tempo d’oggi da alcuni Signori nella Provincia di Lecce s’usa la Caccia à Cavallo col schiedo contro il cignale, il quale quasi generalmente si suol’ammazzare col schioppo carico con perfetta polve, acciò il piombo possa penetrare il duro cuojo, e doppia carica dello stesso; Volentieri si ritrova dentro le selve rintracciando la sua pedata, qual differisce dal Porco domestico col trapassare i piedi di dietro più di quelli d’avanti; O pure dall’istesse selve vien cacciato dal gran strepito de Menatori de’ Cani, ed altro. I bracchi benche non posson afferrarlo, pur qualche volta lo raggirono con bassargli attorno, e tal’ora con mordergli le gambe; Di continuo camina da selva in selva, però sempre ritorna dove è nato e la mattina per tempo stanco dal camino, suol ritrovarsi addormito in letargo, che non gli fa sentire il Cacciatore avvicinatosegli per ammazzarlo.”
Nota: Il bracco qui non è il cane da punta di oggi ma è un cane da braccata, cioè quello che serve a scovare l’animale, stancarlo e portarlo dove possono intervenire cane da presa e cacciatore.
Provincia di Novara, 1805-1815, Prefettura del Dipartimento di Agogna, cartelle 1887-1888.
(in La Bestia Feroce. M. Comincini ed. 1991, Diakronia, Vigevano)
Verso la fine del ‘700 la presenza di una bestia misteriosa che attaccava pastorelli
nelle brughiere aveva sparso terrore nella pianura lombarda e piemontese. Oltre all’orrore causato dalla morte di bambini, la faccenda assumeva dei connotati ancor più sinistri dal fatto che quelle poche persone che avevano veduto il mostro non erano in grado di classificarlo. Un testimone così lo descrisse: “L’animale sembrava un grande cane corso, aveva pelo rossiccio sul dorso e pelo bianco sul ventre, la testa era grande come quella di un cane corso e le orecchie erano a punta.” (1792, dintorni di Milano). Dato il sospetto che poteva essere un cane e non un lupo o altro, le autorità ordinarono che “tutti i proprietari di cane corso e altri cani feroci usi attaccare senza provocazione sono obbligati a tenerli sicuramente legati alla catena presso le proprie abitazioni in modo da non poter nuocere ad alcuno”.
Nota: Per buona pace dei cinofobi e dei licofobi non si trattava né di un cane, né di un lupo, ma molto probabilmente di una iena striata fuggita da qualche circo, oppure giunto da noi dalla vicina Asia seguendo le continue guerre che in questo periodo storico lasciavano sul campo una infinità di carogne.
Oronzo-Gabriele Costa. 1839. Fauna del Regno di Napoli. Azzolino e C., Napoli. p. 11.
“GEN. Cane; Canis, Geoff. Χυών.
Var. C. da Pastore od Apruzzese. Chien de Berger, Fr.
C. Placco od Alano. – Ch. Braque, Fr.
C. Danese. – Ch. Danois, Fr.
C. Levriere. – Ch. Levrier, Fr.
C. Bolognese.
C. focato.
C. Riccio, o Barbone. – Barbet, Fr.
C. Mastino o Corso.”
Nota: Si tratta di una testimonianza importante in quanto il Costa era professore all’Università di Napoli. È di molto interesse anche il resto dell’elenco che meriterebbe un commento a parte.
G. Omboni. 1852. Elementi di storia naturale; zoologia. C. Turati, Milano. p. 102.
“Il cane corso è tigrato, somiglia ai bracchi o cani da caccia, e serve da guardia.”
Nota: Per “bracco” qui va inteso il cane da braccata e non il cane da punta (v. sopra).
Francesco Minà Palumbo. 1868. Catalogo dei mammiferi della Sicilia. Palermo. p. 45.
“Cane corsu. Testa ottusa, e corta, muso molto grosso, orecchie all’apice pendenti, peluria cinericcia, fasciata obliquamente di nero, poca intelligenza. Catania, Petralia Sottana, Castelbuono, Palermo.
Cane corsu inglisi. Cane di forme molto robuste, la sua testa molto grossa, la mascella inferiore più sporgente sono caratteristiche di questa specie. È comune in Inghilterra, ne ho veduto in Palermo belli tipi provenienti da quella località.”
Nota: Il Minà Palumbo loda l’inglese e disprezza quello locale … tuttavia l’inglese con il suo prognatismo già mostra i segni dell’involuzione cinofila che lo porterà al penoso Bull Dog attuale.
N. Zingarelli. 1922. Vocabolario della lingua italiana
“Corso: specie di cane grosso e feroce, di pelo nero”.
Lo Zingarelli, essendo di Cerignola in provincia di Foggia, conosceva bene la razza.
P. Farini e A. Ascari. 1941. Dizionario della lingua italiana di caccia. Garzanti, Milano.
Pag. 377. “Presa: detto di cani levrieri o da presa, significa la bocca, perché essa è per loro l’istrumento unico di presa. Il Tommaseo segna ‘Lo tenne come un can da presa’. Poi quasi proverbialmente ‘Gli è come un can da presa, quando piglia non lascia più’. Si noti che il prender e non lasciar più è appunto il carattere e la virtù del cane da presa; perciò il cane da presa deve avere bocca grande e forte per prendere facilmente e per poter tenere a qualunque costo. Nulla gioverebbe la facilità del prendere e addentare, se questo non valesse a fermar l’animale preso, tanto che il cacciatore possa o impadronirsene o ucciderlo. Infatti il levriere è nominato così dal fatto che prende e uccide la lepre; ma, pur servendo anche per la caccia al cinghiale, non è cane da presa rispetto a questa fiera, inquantochè l’adddenta solo a le coscie, ma poi lo lascia; mentre i mastini, i buldogs, i corsi prendono e tengono anche i tori …”
Pag. 303. “Muta e mute di cani. … “E il Tanara, riferendosi a cacce più borghesi ‘Con tre sorte di cani si caccia: dieci segugi, dieci levrieri, e cani grossi (da presa) specie mastini e còrsi’… ”.
Gli autori citano l’opera di Vincenzo Tanara “L’Economia del Cittadino in Villa” di cui dopo la prima edizione nel 1644 (Bologna) ne furono stampate altre diciotto. Il suddetto brano non appare in tutte.
Paolo Breber. 1977. Il cane da pastore maremmano-abruzzese. Editoriale Olimpia, Firenze.
p. 105-6
“… il cane corso, un molosso leggero una volta molto comune che io ho potuto conoscere in Puglia e Molise. La razza ha una statura paragonabile al cane de pastore abruzzese; ha il pelo corto dal colore nero, grigio, tigrato, ed in passato, anche bianco; piuttosto esigente nell’alimentazione e trattamento, ha una spiccata propensione per l’addestramento. In tempi recenti la si vedeva trottare sotto i carretti, alla guardia delle masserie, ed accompagnare le guardie campestri; usata pure come cane bovaro, bloccava il capo mandria serrandogli il musello, in modo da permettere l’agevole cattura delle vaccine disorientate; anticamente era impiegata anche nella caccia alla grossa selvaggina dove non era solo necessario scovare gli animali ma anche assalirli. Questi usi fanno ben capire al lettore che si tratta di un molosso atletico e slanciato; …”
Nota: Il brano segna l’inizio della mia ricerca che avrebbe portato al recupero della razza. Ci tengo a sottolineare che il vocabolo “cane corso” (anche “cane da corso”) è stato all’inizio da me colto dalla viva voce della gente di campagna in Puglia. Non si è trattato quindi di una riesumazione libresca di una cosa estinta ma di una voce giunta viva, insieme all’animale, sino a noi.
Paolo Breber
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