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Osserviamo l’atteggiamento dei nostri cani e cerchiamo di condividerne la psicologia.
Cos’è realmente un cane da guardia? La genetica è sufficiente a spiegare l’atteggiamento di un guardiano incorruttibile e deciso?
Io credo che l’atteggiamento del cane dipenda da motivazioni sue proprie: il corredo genetico gli fornisce gli strumenti per adempiere a quella mansione, ch’egli in ogni caso desidera svolgere in quanto mosso da valutazioni non sempre identiche. Allo stesso modo, ci sono persone più portate al lavoro ed allo studio, più tranquille e tenaci; altre maggiormente inclini al gioco, ai passatempi allegri, alla vita comoda. Eppure le occupazioni di tutti cambiano secondo le circostanze e le necessità. Un cane in un giardino chiuso corre su e giù lungo i confini, abbaiando ai passanti e alle ombre: io credo che in realtà si annoi e cerchi di riempire la propria giornata con quella specie di gioco. Se poi un animale entra nel suo spazio, ecco che si scatena l’istinto predatorio e scatta la caccia all’intruso. Quando invece questo intruso è un uomo, esso rappresenta una minaccia alla quale il cane reagisce in modo diverso, secondo la propria aggressività e la propria tempra. Può attaccare, abbaiare, fuggire, far le feste all’estraneo: qui sì che entra in gioco la genetica. Un molosso incatenato davanti ad una porta difficilmente lascerà entrare uno sconosciuto, perché per ancestrale memoria egli sa che oltre la porta c’è una proprietà da preservare. E forse la catena stessa gli fornisce l’implicita informazione riguardo alle dimensioni del mondo: gli estranei devono restarne fuori portata. La stessa cosa capita ad un cane da difesa condotto al guinzaglio.
Il mio piccolo Argo mi ringhiava contro il giorno in cui andai a prenderlo; poiché aveva 70 giorni non poteva fare di più. Già sulla via di casa, in auto, in braccio alle mie bambine, ha metabolizzato il dolore per la perdita della sua famiglia; credo che abbia nel suo cuore sostituito le proprie sorelline pelose con queste altre più bruttine, spelacchiate, prive di denti, certamente bisognose della sua protezione. Trattato con dolcezza, si è inserito subito nel nuovo ambiente e, impossessatosene, l’ha considerato suo e si sente in dovere di difenderlo. Poiché sin dall’inizio ha dimostrato di essere un prepotente, qualunque intrusione nel proprio ambiente l’ha sempre irritato e fin dai primi giorni ha reagito con grinta incredibile. Fin dalla nascita abituato alla riservatezza che gli abbiamo inposto, ha fra sé stabilito che il genere umano si compone di dieci parenti e svariati miliardi di potenziali nemici; con questi ultimi ha stabilito un provvisorio armistizio, a condizione che non invadano i suoi spazi e non interferiscano con la sua famiglia. Appena questo tacito patto viene, secondo lui, disatteso, scatta la rappresaglia violentissima. Nel suo atteggiamento, voglio precisare, non c’è traccia alcuna di paura (come invece chiaramente appare dal contegno di molti cani): Argo non ha mai sperimentato in vita sua una punizione, pertanto non immagina neppure che un uomo possa per lui essere pericoloso; al contrario, come un ragazzino smargiasso, dimostra una propensione esagerata per la battaglia e quasi una specie di feroce allegria nel fare il bullo.
In tutto ciò, siamo certi che conti la genetica? Non può essere semplicemente la consapevolezza della propria forza a determinarne il comportamento? La guardia, per lui, consiste nell’impedire che un estraneo invada il suo mondo, all’interno del quale è compresa la famiglia, il frigorifero, l’armadio dei dolci, la sua ciotola, la cuccia, il gatto, i giocattoli, ecc. I cani certamente non sono Comunisti, almeno non riguardo alla propria roba!.
Argo non ha mai girato internamente al perimetro di un recinto: vedendo un estraneo lo attacca in linea retta. Il territorio è per lui tutto lo spazio nel quale si muove la sua famiglia; un confine sacro e inviolabile per quanto riguarda la propria abitazione (dacché c’è lui abbiamo abolito qualsiasi frequentazione di amici in casa nostra!); confine mobile quando cammina al guinzaglio. Del resto cammina sempre tenendo d’occhio chiunque passi vicino: tollera i comportamenti disinteressati ma scatta come una furia se qualcuno rivolge una parola al suo accompagnatore, o se qualche pazzo cerca di toccarlo. Se un automobilista si ferma a chiedere un’informazione noi non possiamo rispondere, perché cerca di farlo lui entrando dal finestrino. Se qualcuno nei pressi assume un contegno sguaiato, o grida, o si rivolge direttamente a lui, l’attacco è garantito! E’ chiaramente una fatica notevole aver a che fare con lui e l’attenzione non deve mai venir meno: ormai pesa quasi 60 chili e non si può lasciargli un metro di vantaggio, anche perché non cerca mai di mordere una gamba o un braccio, ma salta direttamente in direzione del viso. Però in casa ridiventa, con noi, l’orsacchiotto che era: non sopporta di restare solo, vuole giocare, chiede l’attenzione di tutti, ti butta addosso una testaccia enorme per ottenere le coccole. Quando lo fa con mia moglie, lei si commuove, lo abbraccia e gli chiede: “Ma come può la gente aver paura di un tontolone come te?” e lui piagnucola per darle ragione. Mi ricordo di quando, nei primi tempi, rifiutava di mangiare da solo ed era necessario fargli compagnia!
Ecco com’è indefinibile la genetica: possibile che lo stesso individuo sia una furia all’esterno ed un bambino in casa?