“E’ il diretto discendente dell’antico molosso romano“, recita lo Standard. Aggiunge anche che il Cane corso non viene dalla Corsica, ma che è una razza italiana, e che “corso” deriva da “cohors”, che significa “guardiano, protettore”.
E qui l’ENCI si ferma… forse perché si vergogna di andare oltre e di scrivere ciò che è stata davvero la storia (quella moderna, perché in quella antica non c’è nulla di cui vergognarsi) di questa razza.
Noi proviamo a riassumerla in breve (anche se in realtà è molto complessa): un po’ in tutta l’Italia meridionale, dalla Campania alla Sicilia – e con particolare diffusione in Puglia – c’è stato, fin dai tempi più antichi, un cane da masseria utilizzato per la guardia.
I nomi attribuiti a questo cane sono stati svariati: “can corz” (ovvero cane corso, proprio nel senso riportato dallo Standard), cane ‘e presa (nel napoletano), “dogo di Puglia” (appunto nel pugliese) ed altri ancora: ma il cane era praticamente sempre lo stesso, a dispetto delle differenze geografiche.
Alle sue spalle c’era effettivamente il Molosso degli antichi romani, il leggendario “canis pugnax”, cane che incarnava in pieno il secondo significato di “corso” in diversi dialetti del nostro meridione: e cioè quello di “robusto, forte, atletico, aitante, deciso nell’azione” (questo significato viene riferito anche alle persone).
Dopo le due guerre mondiali, come purtroppo accadde a tutte le razze di grande mole, il cane da masseria rischiò l’estinzione: ne rimasero, però, diversi esemplari proprio nelle masserie, nelle stalle e in tutti quegli ambiti in cui serviva un cane capace di montare la guardia sia contro i predatori animali che contro quelli umani.
Il professor Casolino, uno dei principali artefici del recupero della razza, in una lettera ad Antonio Morsiani (1990) scriveva così: “L’impiego prevalente del Cane Corso è sempre stato ed è ancora oggi quello della guardia e della difesa. Le stalle e l’allevamento moderno dei bovini hanno quasi del tutto abolito il pascolo e lo stato brado o semi-brado delle mandrie, ma la custodia è rimasta sempre necessaria, perchè l’abigeato si è trasformato e motorizzato ma è ancora esistente e nelle masserie della Puglia ancora oggi si dice che i capi di bestiame rubati non sono più recuperabili una volta oltrepassato S. Ferdinando di Puglia. Ecco che i Cani Corsi sono lì nei recinti, sulle porte degli stabulari vigili e aggressivi, specialmente di notte, dopo una giornata di catena. La sorveglianza, la conduzione al pascolo e la transumanza restano quasi un ricordo”.
Negli anni ’50 fu uno scrittore svizzero appassionato di cinologia, Piero Scanziani, a recuperare alcuni soggetti nel napoletano, ricreando la razza che lui avrebbe voluto chiamare proprio Molosso italiano: ma l’ENCI scelse il nome di Mastino napoletano.
Il punto è che Guaglione, capostipite dell’allevamento “di Villanova” di Scanziani, era un cane corso fatto e finito, come dimostrano palesemente le foto.
Sta di fatto che il cane corso in quanto tale venne ignorato dalla successiva selezione del Mastino napoletano e rimase immutato nelle masserie, soprattutto pugliesi e siciliane, dove venne scoperto (di nuovo!) da un altro cinologo italiano, Paolo Breber, negli anni ’70, su segnalazione di un eminente zoologo, il prof. Bonatti.
Il mastino napoletano, all’epoca, era già diventato un cane da show da più di vent’anni: quindi era immensamente “cresciuto” nella taglia, oltre ad aver assunto gran parte delle altre caratteristiche che riscontriamo nei cani moderni. Quindi Breber pensò di creare (o meglio di ricreare, recuperare, “salvare”… ma qui uso le virgolette, perché alla luce dei fatti questo termine suona decisamente ironico…) una razza che somigliasse di più a quella originaria (e che infatti avrebbe voluto chiamare “Dogo di Puglia”).
Al lavoro di recupero, che prese il via a metà degli anni ’70, parteciparono diversi eminenti cinofili quali Antonio Morsiani (poi redattore dello Standard), i fratelli Malavasi (che aprirono il primo allevamento al Nord), il professor Fernando Casolino (proprietario di Basir, considerato il vero capostipite della razza), Stefano Gandolfi e molti altri.
Viene stabilito il nome definitivo di “Cane corso” e iniziò la strada verso il riconoscimento ENCI, che avrebbe istituito il primo Libro Aperto nel 1988… ma nel frattempo venne redatto uno Standard in cui si diceva a chiare lettere: “in nessuna ragione il Cane Corso deve ricordare il Mastino Napoletano”. E questo fu, probabilmente, il motivo principale dei problemi che seguirono, soprattutto per via del fatto che il mastino napoletano chiude a forbice. E per differenziare il Cane corso si vide bene di prescrivere invece la chiusura prognata.
Piccolo particolare di una certa importanza… il cane corso NON è naturalmente prognato.
In realtà lo era Mirak, la prima cagna acquistata da Breber, che però era il primo a non essere sicurissimo della sua tipicità (la cagna era anche rachitica) e chiese lumi allo stesso Bonatti, che gli rispose che i corsi che ricordava (specificando: “de visu”, e ormai molti anni or sono) gli sembravano avere nel prognatismo “una caratteristica essenziale”.
Stefano Gandolfi, co-autore con Casolino del primo libro sulla razza (Il Cane Corso – origini e prospettive del molosso italico, ed. Mursia), racconta invece così il suo prima impatto con i cani corsi pugliesi: “Quelli che si ebbe occasione di incontrare si riducevano in tutto a 4 femmine e 2 maschi (omissis). Due femmine, Alma e Cocab, nate nella cucciolata di gennaio ’78, avevano una testa alaneggiante, con dentatura che chiudeva a tenaglia; la loro madre, Brina, della cucciolata del novembre ’75, aveva invece il muso un po’ più corto della testa e, anche se nell’insieme non si discostava molto dalle precedenti, una dentatura che chiudeva a forbice rovesciata.
Tipsi (madre di Basir), sorella di Alma e Cocab, aveva il muso lungo poco più di un terzo della lunghezza della testa e chiudeva a forbice rovesciata“.
Insomma, l’unico cane descritto come “leggermente prognato” era Tappo, cane dal muso piuttosto lungo che fu regalato da Breber a suoi amici foggiani.
All’inizio del programma di recupero, utilizzando i pochi cani che apparivano prognati o che chiudevano a forbice rovesciata, non fu poi troppo difficile ottenere soggetti prognati “come da Standard”: ma intanto che la razza diventava di gran moda, suscitando l’interesse di moltissimi allevatori, si rendeva sempre più evidente la difficoltà di mantenere questo tipo di dentatura.
Così iniziarono i “pasticci”: incroci col boxer (per ottenere il prognatismo), col dogue de bordeaux (per mantenere il prognatismo e aumentare la stazza)… e non oso pensare con che altro ancora.
“Intorno agli anni 80-90, più che allevare cani, sembrava che certa gente giocasse coi Lego.
Facevano proprio le costruzioni: un pezzo di questo, un pezzo di quello… e ovviamente non è che si preoccupassero di usare cani SANI: naaaah! Si preoccupavano di usare cani con una bella quadratura di muso. Punto. E così il povero cane corso, che per secoli e secoli si era mantenuto discretamente omogeneo e decisamente sano nonostante il (o forse “grazie al”?) totale disinteresse della cinofilia ufficiale, cominciò ad assumere forme, colori e caratteri diversi a seconda dell’allevamento da cui proveniva, raccattandosi intanto tutte le malattie genetiche che gli venivano gentilmente offerte dalle altre razze con cui veniva incrociato sottobanco (sottobanco si fa per dire, perché lo sapevano tutti).
Si beccò l’epilessia che non aveva mai avuto (ma il boxer sì), la displasia dell’anca e l’osteocondrite che non aveva mai avuto (ma il dogue de bordeaux sì), le patologie oculari e tutta una serie di problemucci di carattere che non aveva mai avuto”.
Insomma, si è costruita una razza intorno a una dentatura: e per di più intorno a una dentatura che in quella razza non c’era mai stata, o era apparsa solo sporadicamente. E rapidamente (molto rapidamente) si finì per discostarsi sempre più da quello che era stato considerato il modello ideale della razza, ovvero il capostipite Basir (Dauno x Tipsi), ma anche Nikla (che lo stesso Morsiani definì “la femmina più rappresentativa dello Standard”).
Se si pensa che oggi si vedono (anche sui ring delle esposizioni…) cani come quello nella foto a sinistra, forse sarà il caso di chiedersi: ma come è potuto succedere?
E’ successo, semplicemente, che è arrivato il business: ed è andato a sovrapporsi al problema di ottenere dentature che non erano quelle tipiche della razza. Aggiungiamo poi che negli anni ’90 sono nati svariati Club dedicati alla razza, e che hanno cominciato subito a scannarsi l’un l’altro (soprattutto sul solito problema della chiusura, ma non solo)… e il quadro sarà completo.
La SAAC, prima Società specializzata ed unica ricosciuta ENCI/FCI, è riuscita perfino a farsi togliere la tutela della razza (caso unico nella storia della cinofilia italiana): in seguito l’ha riottenuta, ma non è che il clima sia migliorato di molto.
In realtà, negli ultimi anni, la situazione si è un po’ calmata: ci sono ancora discussioni e polemiche, ma in pratica il mondo del Cane corso si è spaccato in due: c’è chi alleva cani da show e chi ha scelto invece di tornare al cosiddetto “cane corso rustico”, quanto più possibile vicino a quello originario. Purtroppo i problemi – specialmente quelli sanitari – non sono mai stati del tutto risolti, ma alcuni allevatori particolarmente attenti al bene della razza (e non soltanto al business) lavorano su linee di sangue molto ben controllate e riescono a produrre una media di cani belli, sani e di buon carattere.
Purtroppo, tra questi, molti hanno deciso di ignorare completamente “tutto” lo Standard e non soltanto il punto che riguarda la dentatura: per questo si vedono cani che hanno alcune indiscutibili caratteristiche del Corso, ma anche altre che con la razza sembrano entrarci pochino.
Insomma, oggi si vedono cani diversissimi l’uno dall’altro: alcuni sicuramente riconducibili al Corso originario, altri lontani da quel tipo ma vicinissimi a quello descritto dallo Standard… ed altri ancora che non si sa bene cosa siano né a cosa somiglino, ma che sono ovviamente “l’unico, vero Cane corso” per i loro allevatori.
Orientarsi in questo marasma, per un neofita, è decisamente difficile: eppure la razza continua a piacere e ad avere un altissimo numero di estimatori: perchè, nonostante tutto, il fascino dell’antico Molosso non smette (e credo che non smetterà mai) di colpire.
Di seguito un po’ di foto di cani corso del passato:
Fonte: cinopedia.tipresentoilcane.com
Gallery e didascalie: Federico Lavanche
Nella penultima fila di foto, sono stati scambiati Basir e Bulan nelle didascalie.
grazie per questo articolo e questo archivio.
Anche se dopo 10 anni….ho scoperto che la mia Liù da Turandot ha alle spalle (da pedigree) nomi del tipo…Silver, Claus, Bulan, Eretico, Dauno, Tipsi…. sono basito…. Mica Pizza e fichi… 🙂
La mia intenzione non era di “inventare” o “ricreare” un razza ma di salvare dall’estinzione una razza storica. Nonostante recenti incroci con altre razze effettuati da cialtroni, specialmente l’esecranda immissione di Boxer che va ripulita fino all’ultimo gene, la base genetica dei soggetti oggi viventi è sicuramente indigena e discendente da una popolazione canina comune nei secoli scorsi fino ali anni 1950.
Il termine “corso” non può derivare da “cohors” come chiunque con un po di cultura sa.
Questa storia del “canis pugnax” che si ripete all’infinito andrebbe avvalorata citando la fonte letteraria originaria che però nessuno conosce; il disegno del legionario romano non mi sembra più antico di qualche anno.
Il cane da corso essendo un cane da presa deve essere ortognato; cioè con mascelle perfettamente funzionali.
Il cane da corso è il mastino napoletano sono due razze ben diverse, anche ai tempi di Scanziani. E’ ovvio, comunque, che essendo “molossi” c’è una parentela da qualche parte.
C’è una cosa che non riesco a capire: se ai tempi di Scanzani, come afferma il Dr. Breber, il mastino napoletano e il cane corso erano già due razze diverse, perché lo Standard del cane corso prescrisse il prognatismo per destinguere il corso dal mastino napoletano?